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LA RIFLESSIONE DI STEFANO GRANATA SU VITA

LA RIFLESSIONE DI STEFANO GRANATA SU VITA

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L’emergenza che stiamo affrontando ha imposto, in un lasso di tempo estremamente breve, la ridefinizione totale delle abitudini, degli stili di vita, del funzionamento della società, dell’economia e del lavoro, ma soprattutto dei modelli di convivenza. Ci troviamo nel paradosso per cui “l’altro” - chiunque esso sia, famigliare, amico, collega – è la primaria fonte di rischio, ma allo stesso tempo l’unica soluzione possibile al problema. Perché questa situazione ha evidenziato in modo radicale e certamente inatteso, il peso della responsabilità di ogni singolo individuo sulla collettività. Ognuno di noi è chiamato, per responsabilità e per obbligo, a cooperare per porre un argine al contagio. Nell’urgenza di frenare l’epidemia, cooperare corrisponde, per la più larga parte del Paese, ad accettare una temporanea sospensione delle libertà personali, delle proprie priorità e dei propri desideri.

Per far sì che questo impegno non si risolva in una molteplicità di storie di resistenza e di resilienza individuale, difficili da riconciliare in un’unità alla fine di questo percorso, occorre dare qualche chiave di lettura in più. Anzitutto, per gestire la complessità, a fronte di un numero di elementi interagenti e di connessioni che si dipanano su scala globale, è centrale la competenza. Ma da sola non basta. Oggi la priorità assoluta è il fronte sanitario, dove sulla competenza medica, tecnica e scientifica ci si gioca tutto, letteralmente, un tutto che ha le sembianze di migliaia di vite da salvare. Tuttavia per fronteggiare la crisi nella sua totalità, che è anche economica e sociale, è necessario instaurare una dinamica diversa, che metta al centro la capacità di fare sintesi dei bisogni emergenti, delle possibili soluzioni, delle risorse.

Su questo può e deve cambiare l’idea del cooperare e come viene tradizionalmente messo in pratica.Deve uscire dalla nicchia dell’atto di volontà, di ingaggio personale e ricostruirsi come un atto condiviso. L’emergenza ha spinto ampie parti della società civile e del Terzo settore a mettersi in gioco per rispondere in tempi rapidissimi a bisogni di portata drammatica, in una condizione di rischio, facendo riemergere la forza vitale di organizzazioni e di persone che si spingono oltre i limiti per il bene comune. È una testimonianza di presenza nelle comunità di enorme importanza. Ma i risultati e gli apprendimenti dei questa fase devono essere interpretati e valorizzati all’interno della nuova normalità che andremo a costruire di qui a poco tempo.

Questa situazione ci sta dando una chiave d’accesso nuova alla realtà, ma dobbiamo sviluppare la capacità condivisa di interagire con questo sistema, con l’apertura necessaria a scalzare una volta per tutte quell’autoreferenzialità elitaria e profetica che ha impedito finora al Terzo settore - e all’impresa sociale in particolare – di entrare nel mainstream con una posizione egualitaria rispetto agli altri mondi che lo compongono, siano essi le istituzioni, le imprese di mercato, la finanza.

Cooperare dovrà quindi essere un modo di lavorare insieme, orientato molto di più al risultato, alla capacità di prendere decisioni e di farlo rapidamente, che all’estetica del processo. Ci si giocherà una sfida imponente nella costruzione di nuove modalità di dialogo e collaborazione con il pubblico e con il privato. Nel trovare il giusto bilanciamento della vocazione primaria della prossimità ai più fragili e agli ultimi con la volontà di inserirsi nelle nuove catene del valore per generare sviluppo, ricchezza condivisa, oltre che inclusione. Cooperare dovrà essere impegno a costituire concretamente un’opportunità di lavoro e di futuro per le nuove generazioni.

Se è vero che ancora ci troviamo nel mezzo di questa notte, dobbiamo usare questo tempo per rimettere in sesto le energie, la lucidità e la capacità di progettare un nuovo inizio

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